Valentino Rossi e la Ducati, un flop clamorosoGli ultimi due eventi top del mondo motoristico, il GP di F1 in Malesia e l'esordio delle MotoGP in Qatar, si sono conclusi rispettivamente con un gran successo (la vittoria Ferrari) e un'enorme delusione (la sconcertante prestazione Ducati), che mi portano però entrambe ad alcune considerazioni comuni sugli sport velocistici più amati in assoluto.

Si potrebbe cominciare a sottolineare le lamentele di Valentino Rossi: fateci caso, quando le cose non vanno lui parla al plurale... "non riusciamo", "abbiamo sbagliato", mentre quando vince è tutto un fiorire di singolari... "ho attaccato", "sono riuscito", etc. Intendiamoci, non ci sono dubbi che lui sia un fenomeno, e nemmeno che nessuno sia riuscito a far andar forte la Ducati a parte Stoner (l'unico passabile è stato Capirossi, ma con le prime 1000cc di una decina d'anni fa), eppure anche "il dottore" adesso è in balia di altri piloti assolutamente "normali", al punto che fa quasi tenerezza vederlo arrancare impotente, addirittura ultimo tra i quattro compagni di team dello sfigato marchio di Borgo Panigale.

Una fase del recente GP Malesia: Sergio Perez (a sinistra) contende con la sua Sauber la posizione alla Ferrari di Fernando AlonsoMa anche Alonso, a sua volta indicato quale fuoriclasse della F1, sembrava destinato a soccombere senza possibilità di replica, preda della cenerentola Sauber, motorizzata come lui ma dotata di un telaio con accrocchi tecnici ed areodinamici più azzeccati. Però Perez (bravissimo, ma non mi pare sia un fenomeno, nemmeno in prospettiva) ha fatto un errore e si è così esaltato Fernando come autore di una gara fantasmagorica (mah...). Il fatto incontrovertibile resta che, a pista asciutta, la Ferrari, Alonso o non Alonso, perdeva un secondo al giro pur con gomme più morbide della Sauber (sulla rossa c'erano le medium con fascia bianca, Perez montava le hard con fascia argento).

Purtroppo, in condizioni standard, non c'è più spazio per le sorprese. Le macchine quasi non si rompono più, non si può più provare, non c'è più il warmup per trovare qualcosa di diverso dopo le qualifiche o in funzione della giornata di gara, e così le uniche novità possono venire da collisioni o capricci atmosferici.

Una ventina d'anni fa, ai tempi di Senna e Prost, ci si chiedeva le percentuali di merito in un binomio da Formula 1, e già si tendeva, nonostante appunto la presenza di mostri sacri come loro, a privilegiare le vetture rispetto ai piloti. Restava un po' di più spazio nel mondo delle due ruote, per dire che lì i centauri contavano ancora almeno al 65%-70% in una prestazione da gara. Ma adesso il mezzo tecnico ha davvero soppiantato tutto: Rossi o non Rossi, Vettel o non Vettel. Qui se non siamo al 90% poco ci manca. Resta quel 10% in cui magari il pilota può fare il più delle volte disastri, anzichè miracoli prestazionali. Serve un guanto stretto che intorpidisce un braccio per fermare una cavalcata solitaria di Stoner, oppure un messaggino via radio che gracchia nelle orecchie di Perez "il secondo posto ci serve", e magari sconcentra un pilota che già assaporava il suo primo trionfo.

Diffusori soffiati, effetto Coanda, cambi seamless, traction control. Una volta c'era semplicemente il culo di Lauda sopra il progetto di Forghieri, e il pelo di Kevin Schwanz che uccellava Wayne Rainey al Motodrom di Hockenheim facendo sbandierare la sua Suzuki come la randa di Luna Rossa durante una strambata all'America's Cup.

Purtroppo i progressi della tecnologia non permettono più di tornare indietro per riequilibrare quelle percentuali di merito tra fattore tecnico e fattore umano, ma credo siano davvero in pochi a preferire gli standard odierni rispetto a quelli del... secolo scorso.